#ILMIOTWITTER

C'è una scena che regala un'iniezione di ottimismo migliore di quella finale di Notting Hill?
Quando il "cazzone avariato" Hugh Grant scopre che i suoi dubbi e i suoi errori (ha detto no all'amore di una "ragazza qualunque") svaniscono di fronte al sorriso a pieno schermo di Julia Roberts mentre Elvis Costello intona She? Certo, un amore che finisce (o inizia) bene è il viatico migliore per vedere il mondo in rosa ma nel film di Roger Mitchell c'è qualcosa di più di un tradizionale lieto fine: c'è la speranza che le differenze di carattere, di lavoro, di educazione e, perchè no?, di censo (lei guadagna 15 milioni di dollari a film, lui stenta a far quadrare i bilanci della sua libreria di viaggi) possano scomparire o comunque non contare più.
Da quando il cinema è nato, o giù di lì, ha usato l'happy ending per rassicurare gli spettatori: non c'erano ostacoli o problemi che non si potessero superare, cattivi o male intenzionati che non si riuscissero a sconfiggere. Ma a volte un bacio finale non basta a restituire fiducia nella vita. Ci vuole qualcosa di diverso. Come per esempio la carica di positività che Gene Kelly sa trasmettere con Cantando sotto la pioggia. Kelly è sempre stato un ballerino molto fisico, meno elegante di Fred Astaire ma più dinamico, più energetico e il musical che ha interpretato e diretto con Stanley Donen ha questa miracolosa capacità di trasmettere allo spetttaore la stessa energia e la stessa carica di vitalità del suo protagonista. Provate a rivederlo: nel film non c'è problema che non si possa affrontare e superare e quando termina la visione, ci si sente addosso quello stesso contagioso ottimismo.
Sì, La vita è meravigliosa, proprio come diceva un altro caposaldo della positività cinematografica, il film con lo stesso titolo di Frank Capra interpretato da James Stewart, quello dove un angelo di seconda categoria ancora senza ali fa vedere al probo George Bailey cosa sarebbe stata la sua città e i suoi concittadini senza di lui.
E vi prego, non confondetelo con un "normale" film natalizio: sotto la superficie di commedia solo apparentemente lacrimosa c'è una delle più acute ricostruzioni del bene e del male del capitalismo made in Usa e la dimostrazione che solo l'ottimismo della volontà può davvero fermare la micidiale accoppiata denaro & sesso che rischia di impossessarsi dei sogni di tutti. Perchè in fondo che cos'è l'ottimismo se non la decisione di vedere mezzo pieno quello che gli altri vedono mezzo vuoto? Lo spiega perfettamene quel bellissimo film di Mike Leigh che si chiama, non a caso, La felicità porta fortuna.
La protagonista (affidata a una straordinaria Sally Hawkins) è Poppy, un'insegnante elementare che cerca di vedere ogni cosa con ottimismo ed entusiasmo. A un certo punto il pignolissimo istruttore di un'autoscuola sembra voler mettere in crisi il suo stile di vita ma l'incontro con un assistente sociale saprà ridarle la fiducia nella possibilità di agguantare la felicità. E trasmettere agli spettatori la stessa inarrestabile energia positiva di Poppy, capace di affrontare con un soprendente buonumore le sfide della vita.
Certo, a volte il mondo che ci circonda non ispira molta fiducia, e verrebbe da sperare solo in qualche intervento miracoloso. Ma è proprio per questo che (a volte) è stato inventato il cinema, per cambiare le carte in tavola e risolvere anche i problemi più drammatici. Come fa Aki Kaurismaki in Miracolo a Le Havre dove un lustrascarpe- filosofo riesce a proteggere il giovane clandestino Idrissa e a trovare i soldi per farlo arrivare in Inghilterra dalla madre. Nonostante il vicino spione che vorrebbe denunciarlo alla polizia. Per fortuna nel mondo del regista finlandese (che passa metà dell'anno nel più accogliente Portogallo) c'è sempre spazio per l'ottimismo. Così se non nasconde la tragicità del reale (nel film c'è la povertà, la cattiveria, l'emerginazione, la repressione, la delazione e anche la morte) alla fine sa far vincere la folgorante bellezza della poesia e della speranza: la malattia lascia il posto alla guarigione, la repressione alla comprensione e il rigore al perdono. E come nella scena finale di Casablanca, il lustrascarpe e l'ispettore di polizia si siedono intorno a un tavolo per brindare a una nuova amicizia e alla speranza che il mondo possa diventare più bello e più buono.


La Jù.

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