#MAGIC

Provate ad immaginare di essere andati via di casa da piccoli, di aver perso le tracce della vostra famiglia e di non ricordare il nome del posto da dove venite. Ora provate ad immaginare che il Paese dove siete nati è l'India, una nazione dieci volte più grande dell'Italia, e che dei luoghi ricordate solo i dettagli, come la pensilina di una stazione ferroviaria, la casetta di mattoni dove abitavate, una diga su un fiume. Ricordi vividi ma forse distorti dagli occhi di un bambino. E poi, quante cose cambiano nell'arco di oltre vent'anni? La storia di Saroo Brierley ha il sapore di una fiaba ai tempi del web, una versione di Pollicino che ritrova la strada di casa grazie ai bit disseminati nella rete al posto delle molliche di pane. Eppure quello che racconta nel suo libro, La lunga strada per tornare a casa (Fabbri Editori), è successo davvero.
Saroo ha 5 anni quando, una notte, convince il fratello maggiore a portarlo con lui in treno. Anche se è solo un ragazzino, Guddu, in quanto primogenito, sente di dover dare una mano alla madre, ai due fratelli minori e alla sorellina e così se ne va spesso in giro a racimolare un pò di cibo o guadagnare qualche soldo lungo i binari.
Durante il viaggio Saroo si addormenta e il fratello lo lascia sulla panchina di una stazione a un'ora da casa: "Non muoverti di lì, torno a prenderti", gli dice.
Ma quando si sveglia, Guddu non c'è. Non sapendo cosa fare cerca rifugio su un vagone, il treno parte e lui rimane intrappolato nello scompartimento. Quando le porte finalmente si aprono, Saroo non può saperlo ma ha percorso quasi 1.500 chilometri e si trova a Calcutta.
Lì, dopo essere riuscito miracolosamente a sopravvivere da solo per alcune settimane, viene portato in un orfanatrofio e finisce per essere adottato da una coppia di australiani.
Il libro di Saroo comincia da quella che sembra la fine. L'11 febbraio 2012 davanti alla casa ormai abbandonata che aveva cercato per anni perlustrando l'India dall'alto con Google Earth, un uomo gli dice: "Vieni con me. Ti porto da tua madre". Ma quello che è l'epilogo della sua lunga ricerca, in realtà rappresenta l'inizio di una nuova storia con tanti capitoli ancora da vivere.
Il libro, ha spiegato in un'intervista via Skype, ha finito di scriverlo circa due anni fa, "e da allora sono successe molte altre cose". Parlava dalla casa dei suoi genitori (australiani) a Hobart. "Ci vuole tempo per ricreare una relazione, è un processo lento, graduale".
Una delle sue prime scoperte è stata il suo vero nome: Sheru, "che in hindi significa leone". All'epoca, non sapeva pronunciarlo correttamente e, quindi, era stato trascritto in modo sbagliato.
La sua vera data di nascita, invece, è ancora incerta: il 22 maggio, che lui ha sempre festeggiato come compleanno, in realtà è il giorno in cui entrò in orfanatrofio: "Ho chiesto a mia madre e lei crede di ricordarsi la data, ma un certificato di nascita non esiste".
Nessuno potrà mai dire se a consentirgli di ritrovare casa sia stata la sua caparbietà oppure il destino. Non lo sa neppure lui, tanto più che, dopo anni trascorsi a fare ricerche metodiche, seguendo ogni possibile linea ferroviaria in partenza dalla stazione di Calcutta, il posto giusto lo ha trovato per caso dopo aver abbandonato il metodo che lui stesso aveva escogitato.
Certo non ce l'avrebbe mai fatta se i suoi ricordi non fossero rimasti incredibilmente vivi nella sua mente. "Durante le giornate piovose, mia madre e io ci sedevamo a parlare", racconta. " Mi chiedeva che cosa mi ricordassi del mio passato, un pò alla volta, anno dopo anno. All'epoca non ho mai pensato di scrivere la mia storia, ma non volevo che quelle immagini svanissero. Nel tempo, ho aperto e richiuso quella "scatola di ricordi" non so quante volte. Anche involontariamente. A scatenare flashback che mi riportavano alla mia infanzia poteva bastare una musica malinconica".
Tra i capitoli ancora tutti da scrivere della storia, quello che riguarda suo padre. Alla fine del libro, Saroo accenna al fatto di aver saputo che è ancora vivo e di provare il desiderio di incontrarlo.
"In tutta la mia vita, credo di averlo visto in tutto tre, quattro ore. Ma non ho ancora deciso che cosa fare e, comunque, avrei bisogno della benedizione del resto della famiglia. Mia madre ci ha raccontato che fu lui ad abbandonarci, ma potrebbe esserci stata una ragione che lei non ci ha mai detto. Oppure a scatenare la sua decisione potrebbero esserci motivi più profondi che non sappiamo. C'è il rischio di scoperchiare un verminaio".
Un'altra cosa che Saroo non ha ancora fatto è sposarsi. "Ogni tanto penso che se fossi rimasto in India, ora avere sei, sette bambini. Per mia madre è strano che alla mia età sia ancora scapolo, ma si sta arrendendo all'idea".
Se un giorno dovesse succedere, non esclude che lui stesso potrebbe adottare un bambino. Nel frattempo, aiuta finanziariamente l'Indian Society For Sponsorship And Adoption, la stessa associazione che 25 anni fa gli ha trovato una nuova famiglia: "E' il mio modo di restituire parte dell'aiuto che ho ricevuto".
Per il resto, dice che la sua vita non è cambiata. Neppure ora che la storia diventerà un film (i diritti sono stati acquistati all'ultimo festival di Cannes per 12 milioni di dollari). Però, spera che con l'uscita al cinema possa verificarsi un nuovo "miracolo": "Mi piacerebbe ritrovare il ragazzo che a Calcutta mi accompagnò alla polizia salvandomi la vita. E la ragazzina che, un giorno, in orfanatrofio, mi diede una collana: nessuno prima di allora mi aveva mai fatto un regalo. E' molto difficile che succeda, ma nella vita non si sa mai". 

La Jù. 




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