DI CHE COSA PARLA VERAMENTE L'AMORE

Per tanto tempo ho pensato che l'amore dovesse essere capace di "ripararci", ossia di riparare torti e ingiustizie, dolori e sofferenze. Una sorta di medicina esistenziale. Come se l'altro potesse farci tornare indietro nel tempo e trasformare il passato. In modo da rendere la vita più bella. Senz'altro diversa. Magari anche solo meno complicata.
Forse è per questo che, da ragazzina, avevo imparato a memoria una frase tratta dal libro di Ronald D. Laing, L'io diviso. E che smettevo mai di tirarla fuori quando c'era un problema, lei non mi ascoltava, oppure ascoltava ma non capiva. "Ci si può rompere soltanto se si è già a pezzi", scrive Laing. "Finchè il mio io bambino non è stato amato, io ero a pezzi. Amandomi come si ama un bambino, lei mi ha aggiustato".
E allora era sempre un ricominciare da capo. Perchè prima o poi l'avrei incontrata quella giusta. Prima o poi l'avrei trovata la donna capace di amarmi come si ama una bambina. Sempre pronta a consolarmi. Sempre pronta ad aiutarmi a tenere insieme i cocci rotti della mia esistenza.
Ma come si fa a chiedere a una persona di amarci come se fossimo bambini? Di quale amore stiamo parlando? Quello incondizionato che nemmeno una madre può darci, a meno di rinunciare a se stessa e sacrificare la propria vita? Quello che copre tutto, e che poi però ti soffoca, perchè anche un bambino ha bisogno di spazio e libertà per crescere e diventare grande?
L'amore non ripara e non aggiusta. Al limite, tollera. E insegna a sopportare. Perchè nessuno potrà mai ripagarci di tutto quello che non abbiamo avuto e di cui pure avevamo tanto bisogno. Nessuno ci potrà mai far tornare indietro per ricominciare tutto da capo. Anzi. Non è certo un'altra persona che può darci ciò che noi stessi non siamo in grado di concederci. Un pò di pace e un pò di tenerezza. Come basi necessarie all'amore di sè, ancor prima dell'amore degli altri.  Come dice anche quella famosa frase del Vangelo che tutti citano: "Ama il prossimo tuo come te stesso". E che continua a non avere senso finchè non si capisce che la parola chiave non è nè "prossimo" nè "amore", ma quel semplice "come" che tante volte si ignora. Perchè fino a quando non saremo capaci di amarci, saremo anche incapaci di amare gli altri.
Certo, quando lo sguardo della persona che amiamo si posa su di noi, tutto appare più lieve. Perchè allora si immagina di non essere poi così "rotti" o così "imperfetti". Almeno all'inizio. Prima di rendersi conto che i cocci sparsi della propria esistenza ce li si porta sempre dietro. Che non bastano dosi massiccie di colla e silicone per tenerli tutti insieme. E che non è certo l'altro che ci può aggiustare. Esattamente come noi non possiamo nè aggiustarlo nè salvarlo.
Nell'amore, però, credo, ci si riconosce. E forse sono proprio quei cocci - quando sappiamo riconoscerli e accettarli, e non facciamo finta di essere tutti d'un pezzo - che ci permettono di capire che anche l'altro se ne porta dentro tanti, con tutto il corredo di ferite e di mancanze.
Ciò che unisce veramente nell'amore è la condivisione dei segreti dell'infanzia, anche quando si è incapaci di mettere un nome o un volto all'impotenza e alla paura. Ecco perchè niente è più dolce di quei momenti in cui, riconoscendosi reciprocamente per quello che si è, la si smette di reclamare tutto ciò che non si è avuto, tutto ciò che ci manca, tutto quello che ci perseguita. E si prova ad andare avanti così. Talvolta incerti. Sempre fratturati.



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