IL CUORE, GLI AFFETTI, LE VERITA' NASCOSTE

"E' una storia seria, con quel tipo?", chiede l'ex marito all'ex moglie, in tribunale, un istante prima di sancire anche legalmente la loro separazione.
"Se non fosse una storia seria, non aspetterei un figlio da lui", risponde lei, sicura, e appare fiera e felice per la notizia che finalmente ha trovato la maniera di comunicare all'ex.
Siamo dentro Il passato di Asghar Farhadi, il film che più mi ha commossa e incantata negli ultimi anni, escluso dalla cinquina degli stranieri da Oscar - assenza che, personalmente, ha reso un pò meno grande la bellezza di quella serata.
Siamo a Parigi, siamo in Iran. Ma siamo anche nelle nostre case. Nelle pieghe dei nostri cuori. Nelle false promesse con cui ci convinciamo, quando si tratta di elaborare un trauma. Un fallimento. Una separazione.
In pochissime parole: Ahmad ( l'ex marito ) torna da Teheran a Parigi perchè Marie ( l'ex moglie ) vuole firmare la separazione per essere libera di sposare Samir. Con Marie vivono le due figlie, una bambina luminosa e un'adolescente buia, avute da una relazione precedente a quella con Ahmad, ma che Ahmad ha cresciuto. Con Samir vive suo figlio, il piccolo Fouad, mentre sua moglie vegeta in coma profondo dopo aver ingoiato una bottiglia di detersivo.
Marie e Samir aspettano, insieme, un altro figlio, per l'appunto, e stanno dipingendo di fresco le mura della casa di Marie, perchè sia nuova e pronta ad accogliere la famiglia allargata che si sta formando.
Peccato che Marie, dopo quattro anni, abbia ancora bisogno di litigare con Ahmad, appena le viene incontro, all'aeroporto. Peccato che Ahmad, in quella casa si senta ancora in diritto di riparare un lavandino, se si rompe. Peccato che le sue cose siano ancora tutte lì, nella rimessa, dove le ha lasciate. Peccato che Samir si allergico alla vernice fresca.
Come lo siamo tutti. Tutti: se, anzichè prendere coscienza delle crepe sul muro, ci passiamo subito su un nuovo colore. Ci affidiamo ai vapori di una lavanderia, dove non a caso lavora Samir, perchè un lavaggio forte compia il miracolo.
Ci affidiamo alla pioggia dei giorni, che non a caso nel film viene giù scrosciante, perchè il tempo faccia da solo quello che per noi è troppo faticoso fare.
Respirare.
Guardarci dentro, anzichè affianco. Capire davvero che cosa è successo. Fra noi e l'altro, fra noi e noi, fra l'altro e se stesso.
Non è una passeggiata, certo. Anzi: è un'arrampicata dura, è una discesa agli inferi. E' un faccia a faccia con le verità scomode, con gli aspetti più pelosi di noi, con le voragini che abbiamo dentro, con le vertigini. E allora, pur di evitarci tutto questo, proviamo a farla franca.
Ci andiamo giù di rimozione.
Accumuliamo amori, non ci curiamo delle macchie ostinate che non vanno via, ripetiamo schemi, attribuiamo le nostre mancate elaborazioni ai poveracci che incontriamo lungo la strada.
Ma il passato, remoto o prossimo che sia, mica è scemo. Più pensiamo di fregarlo, più ci frega.
E allora basta sentire, distrattamente, l'odore di un profumo. Quello giusto, quello sbagliato: quello. Per risvegliarci, anche se siamo in coma, fosse solo il tempo di un sorriso, o di una lacrima.
Vincere l'Oscar per la Miglior Gestione del Proprio Passato, o comunque finire in una qualche cinquina, sconosciuti perfetti amici di questo blog, forse significa proprio questo.  Far sì che il passato non impedisca al presente di essere uguale a se stesso. Che non gli impedisca di essere davvero vostro.
Magari ammaccato, crepato, ancora non riverniciato. Ma vostro. Dunque libero.
Sinceramente disponibile a tutto quello che di meraviglioso il futuro potrà disegnarci su.

Ju.

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