Sono cresciuta in un mondo in cui i
vecchi si scendeva in piazzetta ad ascoltarli per ore. Me li ricordo
uno per uno, Ciprino, la signora Leonilde, Todisco che era rimasto
cieco da un occhio in guerra ma tutti dicevano invece che gliel'aveva
accecato con una bastonata il marito della Lenzi. E Ciccio, che si
diceva fosse stato l'amante “dell'attrice muta”, diceva, amante
anche del Duce. Non era muta lei, era muto il cinema. Mi ricordo
anche mio padre che andava a suonare alle loro porte quando non
uscivano da un po', il nostro è un piccolo paese, e che li portava
fuori tenendoli sotto braccio, su su che l'aria della vita fa bene.
Mi ricordo i loro occhi, i loro odori di saponetta e certi modi di
dire che avevano e che sono diventati i miei. Quando morivano c'era
sempre un parente mai visto che usciva dalla casa e diceva: ha
lasciato scritto di darti questo. Un foulard, una cornice, un
orologio. Per la casa che metterai su quando ti sposi, diceva un
biglietto con quella calligrafia con le elle e le effe lunghissime e
le maiuscole tutte al loro posto.
Perciò quando i vecchi sono spariti mi
è dispiaciuto parecchio, è stato come aver perso l'infanzia. Lì
per lì non me ne sono accorta. Si sa come va, c'è da fare. La vita la scuola il calcio le amiche poi il lavoro, la spesa, i panni da stirare, tutto che
succede nello stesso momento. Un'altra città, un altro posto. Poi
però a un certo punto, in un momento di quiete, ho visto che non
c'erano più. Spariti. A parte quelli ai vertici del governo e delle
banche, delle commissioni parlamentari e delle giurie gli altri - i
vecchi normali – non c'erano più. Mai un'intervista, mai una
pubblicità, mai una fiction, mai – assolutamente mai – in tv se
non come macchiette. Caricature di vecchi per far ridere. Quasi
nessuno per strada, che in città è pericolosissimo. Di rado, ogni
tanto, qualcuno al mercato. Ma nel racconto delle cose no, i vecchi
non c'erano più.
Così un giorno di fine anno, in una
pausa dal mal d'amore, mi è venuta l'idea di scrivere un articolo
dedicandolo ai centenari: la meglio gioventù, appunto. Perchè sono
convinta che anche nelle arti e nelle scienze, insieme ai ragazzi, le
energie migliori arrivano dai vecchi. Louise Bourgeois e Lèvi
Strauss, Rita Levi Montalcini, Manoel de Oliveira, Oscar Niemeyer.
L'idea all'inizio non mi piaceva molto, mi pareva un po' troppo
bizzarra, poi parlare di vecchi sul mio blog, ma siamo sicuri?, la
gente quando vede le rughe gira pagina.
Per molto tempo la vecchiaia è stata
bandita dalla comunicazione e dall'informazione. Non parliamo della
morte naturale, quella proprio proibita. La morte è solo accidentale
o frutto di un delitto, sui giornali e in tv. La morte ti capita se
ti mette sotto un tir in autostrada o se ti accoltella uno
scippatore, altrimenti, no, tranquilli, altrimenti non esiste.
Poi poco a poco, ma molto di recente,
qualcosa è successo. Deve essere stato in coincidenza con la “nuova
primavera” dei giovani. Gli indignati, i rivoluzionari arabi, i
movimenti europei. Tornati i giovani sono ricomparsi anche i vecchi.
Così è la vita, del resto.
L'altro giorno avevo in mano due
riviste concorrenti. Entrambe portavano in copertina volti di vecchi.
Meravigliosi volti rugosi come quadri di Lucian Freud, come sculture
di legno. L'energia dei veterani, diceva un titolo. E l'altro:
Serve molta immaginazione per capire la realtà.
Bello no? E' una frase di Antonio
Lòpez, settantacinque anni, uno dei più grandi esponenti del
“realismo figurativo” europeo. Ho segnato qualche frase da un
coro di blog di vecchi scoperti per puro caso, come fossero le voci dei
vecchi della mia piazzetta. Per conservarle e condividerle,
ricordarle.
“Quando vuoi vedere il tuo viso ti
guardi allo specchio. Quando vuoi sapere chi sei ti guardi nel viso
di un amico”, dice l'accademico di filosofia, ottantatre. “Ci
sono vecchi molti buoni e vecchi molto cattivi”, dice la scrittrice
celebrata, ottantacinque anni, bevendo gin tonic. Come i bambini,
come le donne, come in ogni categoria in cui il genere umano è
ordinato. “Invecchiare è smettere di pettinarsi”, dice la grande attrice di teatro, ottantasei. “Quando arrivava il carceriere ci
concentravamo sulle sue labbra. Prima ancora che parlasse, dalla
posizione delle labbra, sapevamo se il nome che avrebbe pronunciato
per portarlo a morte era Carlo, Giovanni o Fernando”, dice il
reduce dai campi di lavoro, novantuno, due volte condannato a morte.
“ Da quei secondi ricominciava a correre la vita, o si fermava. Io
in effetti, per esempio, ho cinquantanni appena compiuti”.
Antonio Lòpez, sull'altra rivista,
intervistato in occasione di una retrospettiva della sua opera
Thyssen-Bornemisza.
“Il mio unico desiderio è fare
qualcosa di buono e quando hai questo in mente tutto il resto,
inclusi i soldi anche se ne hai bisogno, diventa poco importante”.
“Ora che sono vecchio so più cose. La conoscenza è fondamentale.
Il poeta Antonio Machado pochi giorni prima di morire ha scritto su
un foglio due righe che sono una meraviglia. Ci sono opere di vecchi
che sono straordinarie e che solo un vecchio potrebbe aver
realizzato. Alla persona succede quel che accade al viso. Se non si
decompone, se non muore si adatta alla vita, rilascia qualcosa e
intanto incorpora qualcos'altro di eccezionale. In realtà l'arte
occidentale è l'arte di un vecchio che ha moltissimo da dire”.
“Non amo la fotografia. Toglie sempre molto più di quel che dà”.
“L'unico modo per liberarsi dalla pressione del tempo è prendere
tempo. Prendersi tutto il tempo che serve”.
Nello stesso numero della rivista il
“personaggio della settimana” di ultima pagina è una ragazza di
diciotto anni ammalata di tumore osseo che racconta la sua vita.
Nell'altro settimanale un lunghissimo servizio con foto è dedicato
al successo di The Big C. Grande successo di ascolti.
Qualcosa sta cambiando, penso.
Jù.