NEI TUOI OCCHI

Sono trascorsi quasi dieci anni dalla tua morte e a volte sul mio viso non vedo altro che un' espressione assente.
Adesso vivo da sola, cucino poco, lavo, insomma, faccio le cose che non sapevo fare prima, ma a volte mi sento ancora come se qualcuno mi avesse portato via tutto, una che ha subìto una violenza inaudita: il volto cupo, le lacrime alle porte degli occhi, le labbra piegate in una smorfia amara. Quando torno a casa mi sforzo di essere gentile con me stessa e faccio finta che qualcuno mi chieda come sia andata al lavoro, non mi sento ridicola. In fondo, ridicola non lo sono mai stata.
Adesso che nemmeno lei c'è più le cose che facevo prima sembrano prive di senso, come recitare un copione che conosco a memoria, le improvvisazioni ormai sono cosa rara.
Vedermi triste a volte mi fa male, mi fa sentire ancora più vulnerabile, più sola. Il fatto che ci sia la mia famiglia e i miei amici non migliora la situazione. Una persona che hai amato fino a poco tempo fa non la sostituisci con niente e anche se ho tanta gente che mi vuole un mondo di bene non è la stessa cosa e tu lo sai benissimo.
Certe volte ti penso e ti immagino seduto in cima a un tetto dopo un tremendo nubifragio, le cose che amavi sommerse dall'acqua e dal fango, privo del desiderio di venire salvato, pieno della rabbia di essere sopravvissuto. A volte mi sento maledettamente triste, e non è quella tristezza che puoi plasmare per farla assomigliare a qualcos'altro, qualcosa di più dolce, più leggero: è una cosa simile alla pietra, non la scalfisci, serve solo a non farti muovere. Vorrei aiutarmi in qualche modo, ma non riesco a fare niente, anzi, preferisco ignorarmi. La mia angoscia è lo specchio di quella di tanti anni fa, e io non voglio vedere, non cadere in quello specchio stregato. E allora provo a fare finta di niente, strisciando lungo le pareti della mia solitudine, facendo attenzione a non incrociare il mio sguardo negli specchi di casa.
Tu dicevi sempre che io assomigliavo a una contessa musona. Mi chiamavi così quando tornavi in camera e mi trovavi alla finestra, prigioniera dei miei pensieri. Eri sempre tu quello che allontanava le ombre e rompeva il silenzio. Ricordo ancora quando sentivo la gomma delle tue Silver sul pavimento e tu entravi: ti fermavi, mi guardavi, spargevi la tua voce ovunque, riprendevi i discorsi interrotti, facevi incontrare le parole, poi ti toglievi le scarpe, ti sedevi vicino a me come a raccogliere i tuoi e i miei pensieri, e mi guardavi.
In quei momenti stavamo insieme dentro i tuoi occhi e ci accorgevamo, io e te, di quanto eravamo simili.
( Continua...)

Bacioni!

Jù.

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