L'EQUILIBRISTA

Ricordo un film con un uomo che prima di morire chiama le figlie a sè e una alla volta fa loro una specie di discorso d'addio. Giò non fece nulla di tutto questo.
L'unica cosa che mi disse fino alla fine, che non si stancò mai di ripetermi, fu che mi voleva bene e che ero stata la cosa più bella della sua vita. Quando stavamo insieme durante la chemio mi faceva parlare molto: della scuola, delle mie amiche, delle cose che volevo fare. E poi, verso la fine, quando cominciava ad essere molto stanco, mi chiedeva semplicemente di sedermi accanto a lui, sul letto. Allora mi stendevo al suo fianco e gli prendevo la mano, o lui mi posava la sua sui capelli, e dormivamo un pò così, come a scavare altro tempo nel tempo, a creare anse, vie di fuga.
E' morto una mattina di aprile. Già da qualche giorno non si alzava più. Il dottore aveva aumentato la dose di morfina e lui dormiva quasi sempre. Parlava pochissimo, e se lo tenevo per mano non la stringeva più come prima.
Quando Giò morì non sapevo quello che avrei sentito. Ho pensato che non poteva essere vero, e solo in quel momento mi sono resa conto che non avevo mai creduto fino in fondo che quel momento sarebbe arrivato.
In quei mesi mi ero abituata a vederlo malato e alla fine mi ero convinta che sarebbe stato per sempre così, non che potesse finire. Quando lo vidi immobile, la bocca socchiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la paura fece di nuovo il suo giro e alla fine della corsa mi ritrovai come svuotata.
C'erano stati giorni, certo, che avevo pensato a come sarebbe stato vederlo morto, ma anche in quel momento, con la sua morte davanti ai miei occhi, semplice e terrificante, continuavo a non crederci.
Mi avvicinai e trattenendo il respiro fissai il suo volto immobile, poi gli presi le mani e le strinsi con forza, lo chiamai, mi chinai a baciarlo e appoggiai la mia fronte sulla sua. Sua madre, in piedi vicino alla porta, sussurrò non c'è più con un sorriso di lacrime. Non c'era più.
Mi manco la terra sotto i piedi e ancora la paura mi strinse al suo petto e respirai solo l'aria velenosa dei suoi polmoni.
Il mio fidanzato non c'era più.

Quando lo seppellirono, a parte io, sua madre e sua nonna, c'erano anche tutti i suoi amici storici.
La fotografia che avevo scelto gliel'avevo fatta io il giorno del mio ultimo compleanno: mi sorrideva e quando sorrideva Giò era bellissimo.
I raggi di un sole pallido di quel tardo pomeriggio d'aprile rendevano tutto più triste.
Io e sua madre non riuscivamo a guardarci negli occhi. Ci sentivamo frastornate, esposte. Avevamo stretto troppe mani, respirato l'odore denso di tutti quei fiori. Della chiesa ricordo gli scricchiolii delle panche, il sommesso bisbiglio, una confusione di volti dietro le lacrime e gli occhiali scuri, nient'altro. Quando fu tutto finito, qualcuno mi prese sottobraccio e mi portò piano verso l'uscita del cimitero senza dire una parola.
Nei giorni che seguirono cercammo di sistemare le sue cose, anche se ce ne mancava il coraggio. Tutti i vestiti che erano rimasti per mesi sulle sponde delle poltroncine in camera da letto vennero lavati, ripiegati e infine sistemati dentro il suo armadio. Il letto venne disfatto e rifatto, le imposte accostate. C'era anche una signora a darci una mano. In realtà non serviva, ma credo che sua madre l'avesse chiamata perchè nel momento in cui mise piede nella stanza di Giò tutto il dolore di quei nove mesi le si riversò addosso.
Di questa signora ricordo che fece tutto in silenzio.
Prima di rifare il letto in camera di Giò mi sussurrò che era meglio fargli prendere un pò d'aria e me lo disse stringendomi una mano tra le sue, guardandomi con sincera comprensione, lo sguardo di chi non teme la tristezza degli altri. Subito la stanza si riempì di freddo, ma quell'odore di medicine e di morte io lo sento ancora.
Sua madre rimase di là, il viso contratto, lo sguardo fisso verso la cima dell'abete che si vede ancora da una delle finestre del soggiorno. Diedi alla signora Rosa tutte le indicazioni per riporre le cose al loro posto, fui io la sacerdotessa che si occupò del tempio, in silenzio, come temendo che se avessi parlato a voce troppo alta io e sua madre ci saremmo potute svegliare e accorgere che Giò era morto.
( Continua...)

Bacioni!

Jù. 


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