IL RITMO.

Avete presente, no?
Quando all'improvviso si spegne la luce. Poi si riaccende, ma tutto quello con cui eravamo abituati a identificare la nostra vita è sparito.
Quando, per dirne una, lo spazzolino accanto al nostro, in bagno, non c'è più. Quando non c'è più nessuno, la sera, con cui parlare, perchè non c'è più nessuno: punto.
O quando, magari, arriviamo al karaoke, facciamo per sederci vicino a lei, e invece no. Quella persona non è più nostra, quel sorriso: tante grazie, la nostra storia finisce qui, cerca di essere felice, ci verrà detto, poi.
O quando traslochiamo da un posto che era davvero casa e ci ritroviamo in un posto dove niente riesce a esserci familiare. O quando i figli crescono, se ne vanno, quando i genitori pensano: e adesso? O quando i genitori muoiono.
Quando ci si lascia, quando si parte, quando si rimane, quando qualcosa si spezza e non si ricompone. Quando si cambia, ecco.
Avete presente: quando si cambia?
Lì per lì sembra mortale. Eppure, forse, non c'è niente di più vitale. A me sta capitando ancora.
Diciamo che sono costretta a farlo: le prime tre esperienze che ho snocciolato come esempio all'inizio di questo pezzo mi sono cadute addosso, senza nemmeno il buon gusto di avvisarmi.
Per quasi un mese non ho capito più niente di quanto mi succedesse dentro e attorno.
Niente.
Fatto sta che, giorno dopo giorno, a un certo punto arriva quello in cui ti svegli e scopri di essere sopravvissuta. Non è una bella scoperta, lì per lì: perchè se il tuo cuore, lentamente, riprende a pulsare, se la tua testa riprende a girare, non hai comunque più una vita a cui metterli a disposizione.
Così dal dolore scivoli nello smarrimento.
Io stavo per affondarci, quando un'amica straordinaria, il 21 dicembre scorso, mi ha buttato lì: "Sai che cosa consiglia Rudolf Steiner, in momenti come questo? Di giocare".
"Giocare?".
"Si. Perchè non provi a fare ogni giorno, per un mese, per dieci minuti, una cosa che non hai mai fatto prima?".
"Tipo?".
"Tipo qualunque cosa. Ascoltare una musica nuova. Fare la doccia dai vicini".
"E alla fine cosa si vince? Riavrò la mia vita indietro?". Non l'ho chiesto, ma l'ho sperato. E, siccome non ho proprio niente da perdere, ci sto provando.
Ho cominciato da uno smalto fucsia alle unghie dei piedi. Ho ascoltato un pò di musica classica. Ho camminato di spalle per il centro della città, per dieci minuti. E, mentre una misteriosa elettricità iniziava ad attraversare le mie giornate, ho capito che l'unico libro che posso scrivere è quello che sto vivendo.
Non riesco a considerarmi una ex fidanzata ferita, piuttosto una ex fidanzata spudorata, malgrando e grazie all'autofiction che, qui e là, mi viene in soccorso. Ma più di tutto, per me questi giorni sono un amuleto, il diario di giorni pazzi in cui sto cercando, piano piano, di fare tante piccole cose che non ho mai neppure contemplato.
E forse, mentre sarò distratta dal gioco, non me ne accorgerò ma cose grandi, enormi, entreranno ed usciranno dalla mia vita. Una specie di figlio. Un amore. Soprattutto la possibilità di non resistere al cambiamento. Di rinunciare a quelli che credevo gli unici confini possibili per me. E invece erano limiti.
Perchè "me", cioè chi? Me lo chiederò al trentunesimo giorno. Ve lo chiederete anche voi, se proverete a giocare. La risposta vi stupirà e diventerà il vostro amuleto. A forma di un mese che non si limiterà a durare un mese, da lì in poi vi accompagnerà, con la promessa luccicante di quanta vita c'è, fuori dagli schemi di quella che consideriamo l'unica giusta per noi, oggi e sempre.
Perchè il punto, tanto, è sempre quello. Il tempo. Quando stiamo più o meno bene è il nostro più prezioso alleato e quando stiamo male, invece, si trasforma nel nostro più pericoloso nemico. Ma anche in quei momenti riserva infinite manciate di dieci minuti da riempire come ci pare.
E da cui ricominciare.

Bacioni di Buon Anno!

Jù.

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