GIOIA

Il mio primo fu Matteo, cinque anni, guance rubizze e capello a caschetto. Bella coppia, un pò stazzonata. Questo Matteo non mi filava di pezza e tanto bastava per alimentare la cotta. So che da grande è diventato uno di quei ragazzi tutto studio e casa, mantenendo un certo invariato distacco verso il genere femminile. Non era me che voleva, non voleva nessuna. Un buon motivo per non covare rimpianti. Poi arrivò Nicola, bello e impossibile, geneticamente programmato per far soffrire le donne. Sì, già ad 11 anni, vissuti pericolosamente tra corse in discesa sullo skate e altre smargiassate da lasciarci la pelle. Decisamente molto al di sopra dello standars a cui poteva ambire una bambina fin troppo nella media (niente capelli lunghi e biondi per intenderci ). Maschi così erano destinati alle Kate Moss in erba, odiose ragazzine filiformi che non hanno mai subito l'umiliazione di rifare l'orlo dei jeans (una tassa a cui è tristemente condannato chi, come me, nasce "fuori taglia": troppo largo, troppo corto ecc). Poi ci sono stati Mauro, Giuseppe, Lorenzo, Daniele...tutti amori (im)possibili nella sliding door della vita. Alcuni svaniscono insieme all'acne e ai ricordi. Altri rimangono lì, cristallizati e intatti, come una cosa nuova lasciata dentro al cellophane. Ti resta sempre questa voglia di scoprire come sarebbe stato rompere la carta e farti almeno un giro con quel che c'era sotto, sentire l'odore di nuovo, guardarti allo specchio e vedere l'effetto che fa. Le cose non consumate, dai ragazzi ai maglioni, conservano immutato il giusto inebriante del condizionale. Nessuna prova di realtà: restano lì, con tutto quel loro carico di chance e possibilità inesplorate.
Alzi la mano chi non ha almeno un amore "mancato" nella vita (o mancato a metà) in cui rifugiarsi nei momenti di stanca, quando la routine ti appanna la vista e non vedi più chi ti vive accanto o tutto ti sembra uguale.
Ma esistono anche amori "veri" destinati all'eternità?Sì. Uno me lo ha raccontato Patti Smith, proprio lei, "la sacerdotessa del rock" in un'intervista che ho letto qualche giorno fa. Mentre i colloghi maudit collezzionavano sbronze e flirt, lei condivideva passioni e figli con l'amattissimo marito Fred. Nell'intervista dice:"Io sono stata libera e felice da giovane, quando ho cominciato la mia carriera, ma sono stata altrettanto, anzi più felice, come moglie devota e madre". Devota. Che parola rivoluzionaria.

Alegra!

Jù.

TOGLIETEMI TUTTO MA NON IL SORRISO

Per me mia cugina sarà sempre la ragazza delle fragole: prima di lei non avevo mai incontrato qualcuno così capace di scoprire un momento di felicità o di amore in mezzo alla giornata più nera.
Quando ero piccola mi arrabbiavo tantissimo sentendo questa storiella zen raccontata da mio nonno : "Un uomo che camminava per un campo si imbattè in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l'orlo. La tigre lo fiutava dall'alto. Tremando, l'uomo guardo giù, dove, in fondo all'abisso, un'altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare piano piano la vite. L'uomo scorse accanto a sè una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la fragola. Com'era dolce!"
Ma com'è possibile- pensavo piena di irritazione- che uno che sta per precipitare perda tempo a mangiare una fragola? Avevo archiviato questa storia in quella cartella della memoria dedicata alle cose senza senso, alle vicende incomprensibili. Finchè un sabato pomeriggio mi hanno telefonato dicendomi che mia cugina non c'era più. Allora ho capito che le fragole possono essere la nostra salvezza, la nostra ultima speranza, e che è un peccato non saperle vedere.
Mia cugina era un'iniezione di coraggio quotidiano. Un faro di vita: aveva dignità, energia, ironia. E smuoveva i cuori nell'intimo.
Ho provato a cercare un senso a quello che era successo e ricordo esattamente la notte in cui mi sono messa a pensare a questo non senso, quando il mondo si era svuotato, c'era finalmente silenzio, i telefonini avevano smesso di squillare e le televisioni di parlare.
Ho provato ad immergermi nella sua sofferenza, nel suo stupore; ho avuto paura di piangere, ma ho trovato la sua mano che mi tirava dentro per scoprire quanta vita ci può essere anche quando si ha deciso di spegnere l'interruttore della luce. Quanta energia e speranza ci possono essere quando si è capaci di amare e di riconoscere il bene. E quanta leggerezza si può trovare anche se si è in mezzo alla più dura battaglia.
Dopo quella notte ho adottato sua figlia e l'ho fatta diventare la mia sorellina. Ogni giorno mi sono stupita nel vedere quanto fosse cresciuta quella bambina che a volte costringevo a giocare a pallone, mentre lei voleva giocare con le barbie. Quando l'ho abbracciata dopo tanti anni, abbiamo cominciato a parlare e mentre raccontava la scrutavo per capire cosa pensasse veramente, se il suo ottimismo fosse una negazione di quello che era successo o se fosse davvero la convinzione che ogni attimo valga la pena di essere vissuto. La risposta me l'ha regalata senza giri di parole: "Passo momenti durissimi, a volte non so se ce la farò ma sto programmando un sacco di cose, ho un sacco di idee, ho anche voglia di innamorarmi e non importa se tutto quello che vorrei non arriverà, è bello anche solo immaginare, sperare, programmare. Ogni parola è inutile, mia mamma non c'è più ma a me non va di star qui a piangermi addosso e lamentarmi. Vado avanti, come mi ha insegnato lei, consapevole del fatto che lei non c'è più. Ma so anche che quello che mi aspetta da vivere me lo godrò il più possibile. Adesso voglio star bene, punto e basta."
Questa sera ho pensato che la sua "storia" e i suoi sogni meritassero una prova d'appello, allora mi sono messa a scrivere anche se lei non lo sa.
Le parole di sua madre che risuonano ora nella sua voce, mi parlano della grandezza delle piccole cose, della gioia di quei dettagli che non siamo capaci di vedere, di quel disordine in cucina che può essere felicità, perfino del colore dello smalto sulle unghie.
Le parole della mia nuova sorellina sono la dimostrazione dell'importanza di continuare a pensare alla vita.
Mia cugina ha avuto il coraggio di essere leggera, ironica, spiritosa, persino sfrontata, anche se questo può sembrare fuori posto in questi paesi di provincia. Nel suo modo sfrontato di affrontare la vita c'era il coraggio di parlare, di condividere, di rompere la crosta del silenzio e il muro delle frasi fatte, delle uscite di circostanza. E sotto si sentiva la voglia di continuare ogni giorno a sognare, a sperare, a progettare.
Si potrebbe cinicamente obiettare che tanto poi non l'ha fatto, ma io non dubito che mia cugina sia stata vincente: ha vissuto fino alla fine, nel significato più vero del termine.
Ha vissuto con coraggio, ha avuto giorni di dolore, di pianto, di vuoto, di paura, molti di rabbia, ma è sempre riuscita a trovare attimi di gioia, di speranza; e vivere cosi, è il regalo migliore che ognuno di noi si possa fare. Se ci può essere ancora un attimo di felicità o di amore, anche lì dove tutto appare finito, perchè rinunciarci?

"C'è un'ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne va...Tutto sommato la felicità è una piccola cosa".
Io il miele lo mangio a piccolissime dosi e guai a chi me lo tocca. Vorrei solo non finisse mai.
Grazie cugina grande, Grazie cugina piccola.

Alegra!

Jù.