BRACCIOFORTE

L'ha conservato a lungo nella cassetta dei documenti, quel foglietto che certificava il suo battesimo di volo ottenuto il 20 luglio del 1936, quando aveva appena sei anni e il padre Stephen Koening Armstrong, ispettore contabile statale, e la madre Viola, entrambi di origine tedesca, uscirono dalla loro casa di Wapakoneta, nell'Ohio rurale, e lo portarono sul Tin Groose ( "Oca di latta") nomignolo affibiato a un aereo trimotore prodotto dalla Ford.
Fu il suo primo volo, un imprinting che gli inoculò quella passione per l'aviazione che non l'avrebbe più abbandonato: difficilmente all'epoca qualcuno poteva immaginare che un giorno, quel ragazzo, Neil, sarebbe arrivato sulla Luna, con il simbolo di un'aquila al posto di un' oca.
Per una incredibile coincidenza, fu nella notte di un altro 20 luglio, questa volta del 1969, mentre sulla Terra Eddy Merckx trionfava nuovamente al Tour e la Fiorentina si aggiudicava lo scudetto, in Francia se ne andava Charles De Gaulle e in Vietnam le bombe al napalm polverizzavano le colline, che Neil Armstrong passò alla storia come il primo uomo a toccare il suolo lunare. Lo toccò dapprima con lo scarpone sinistro, e ci restò per 151 minuti rimbalzando come un gigantesco bambino che muove curioso i primi passi, inviando alla Terra e ai 600 milioni di persone sparse nel mondo davanti a un televisore la frase più famosa che un essere umano abbia mai pronunciato:
"E' un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l'umanità".
Ora che il corpo di Neil, dalla sua Cincinnati, ha lasciato per sempre la Terra a 82 anni, molte delle cose che avremmo voluto sapere su quello straordinario viaggio e su quella famosa frase se ne sono andate con lui.
Di tutti gli astronauti del progetto Apollo, che inviò sei equipaggi umani sulla Luna dal 1969 al 1975, Armstrong è stato il più sfuggente. Alto, di bell'aspetto, pronto al sorriso, ma il più riservato e misterioso.
L'uomo che il presidente Obama in un messaggio alla moglie Carol ha definito "uno dei più grandi eroi americani di sempre", avrebbe potuto arricchirsi tenendo conferenze o concedendo interviste esclusive, ma era difficile cavargli più di qualche parola tecnica sullo sbarco che lo ha reso l'astronauta più celebre della storia (insieme ai compagni di viaggio Buzz Aldrin, secondo moonwalker, e Michael Collins, nato a Roma, conducente del modulo orbitante che ruotava attorno alla Luna).
Si limitava a pochi dettagli operativi e chissà se si ricordava, a distanza di 43 anni, del "coccodrillo" che aveva preparato per loro il presidente Richard Nixon nel drammatico caso in cui gli astronauti della missione Apollo 11 non fossero riusciti a ripartire dal nostro satellite: "Il destino ha voluto che gli uomini che sono andati sulla Luna per esplorarla in pace rimarranno sulla Luna per riposare in pace".
Anni dopo, aveva fatto leggere quelle righe alla prima moglie Janet per poi bruciarle. Prima di partire aveva usato parole più comuni con i figli Ricky e Mark.
I suoi silenzi, il suo volto con la barba incolta di otto giorni che si affaccia dall'oblò della navicella appena recuperata nelle acque del Pacifico, a guardare senza un sorriso dall'altra parte del cristallo Nixon, ne hanno fatto un eroe schivo e malinconico, che rifiutava persino di firmare autografi.
Fra le poche riflessioni non tecniche che Neil ripeteva spesso era come da lassù gli era apparsa la Terr: "Riuscivo a vedere i continenti e le nuvole. Mi sembrava tanto piccola e bellissima".
In generale preferiva pensare al futuro più che al passato. Il suo grande sogno era Marte. Naturalmente, sapeva che non sarebbe toccata a lui quell'avventura, ma nei vari ruoli dopo il viaggio lunare e il ritiro dalla amata Nasa nel 1970 non perdeva occasione per parlarne come della prossima frontiera.
Chissà se adesso che lui non c'è più, Buzz Aldrin (che voleva essere il primo moonwalker e che per questo fece con Neil una feroce litigata, da Neil mai ammessa) riuscirà finalmente a perdonargli di non essere stato il primo a mettere piede sulla Luna.
Quasi ad annunciare il lutto, la bandiera americana che Neil e Buzz avevano conficcato nelle sabbie del Mare della Tranquillità dopo l'allunaggio dell'Apollo 11, non è più in piedi.
Tutte la bandiere della altre missioni ( sei in tutto, fino al 1972, compresa quella disastrosa dell'Apollo 13 nel 1970) sono ancora al loro posto. Ma è sempre lì l'iconica impronta del piede di Armstrong impressa nel pulviscolo della superficie lunare, potrebbe restarci per un milione di anni, perchè sulla Luna non ci sono venti che possono spazzarla via.
Grazie Neil, ti sia lieve la Luna.

Il Solito Enorme Bacione a Tutti.

La Jù.


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