PACE

Insegnare a scuola mi ha messo in contatto con le verità del giorno: era come raccogliere uova appena fatte, ancora calde, magari con il guscio un pò sporco. Gli storici interrogano i secoli, ma in una classe di un qualsiasi paese italiano si ascolta il battere dei secondi.
Un giorno, una ragazza di quindici anni, un'alunna che non aveva mai rivelato una particolare brillantezza, aveva fatto una riflessione che mi aveva lasciato a bocca aperta. Eravamo negli ultimi dieci minuti di lezione, quelli che spesso mi piaceva spendere in chiacchiere con gli alunni.
La ragazza raccontava di volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei nomi stampati sull'elastico che poi devi occhieggiare bene in vista fuori dai pantaloni a vita bassa.
Io avevo obiettato dicendole che lungo la Francesca, alle sei di pomeriggio, passeggiavano decine di ragazze vestite così. Non è un pò triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri? E da brava insegnante un pò pedante le avevo citato una frase di Jung: "Una vita che non si individua è una vita sprecata." Insomma, facevo la solita parte dell'insegnate che depreca la cultura di massa e invita ogni studente a cercare la propria strada, perchè tutti abbiamo una strada da compiere.
A questo punto mi ricordo che lei mi aveva esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante: "Profe, ma non hai capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro si, esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l'ho capito fin da quando ero piccola, sai? La nostra vita sarà una vita inutile. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci."
Tanta disperata lucidità mi aveva messo i brividi addosso. Avevo protestato, avevo ribattuto che non era assolutamente così, che ogni persona, anche se non diventa famosa, può realizzarsi, fare bene il suo lavoro e ottenere soddisfazioni, amare, avere figli, migliorare il mondo in cui vive. Avevo protestato, mettendo in gioco tutta la mia vivacità dialettica, le parole più convincenti, gli esempi più calzanti, ma capivo che non riuscivo a convincerla. Peggio: capivo che non riuscivo a convincere nemmeno me stessa. Capivo che quella ragazza che poteva essere benissimo mia sorella aveva espresso un pensiero brutale, orrendo, insopportabile, ma che fotografava in pieno ciò che stava accadendo nella mente dei giovani, nel nostro mondo.
A quindici anni ci si può già sentire falliti, parte di un continente sommerso che mai vedrà la luce, puri consumatori di merci perchè non c'è alcuna possibilità di essere protagonisti almeno della propria vita. Un tempo l'ammirazione per le persone famose, per chi era stato capace di esprimere un valore più alto- nella musica, nella letteratura, nello sport, nella politica- spingeva i giovani all'emulazione, li invitava ad uscire dall'inerzia e dalla prudenza mediocre dei padri. Grazie ai grandi si cercava di essere meno piccoli. Oggi domina un'altra logica: chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori per sempre. Chi fortunamente ce l'ha fatta avrà una vita vera, tutti gli altri sono condannati a essere spettaori e a razzolare nel nulla.
Si invidiano i vip solo perchè si sono sollevati dal fango, poco importa quello che hanno realizzato, le opere che lasceranno.
Ho conosciuto ragazzi che tenevano nel portafoglio la pagina del giornale con le foto di alcuni loro amici, responsabili di una rapina perchè annoiati. Quei tipi comunque erano diventati celebri, e magari la televisione li avrebbe pure intervistati, un giorno.
Questa è la sottocultura che è stata diffusa nelle infinite zone depresse del nostro paese. Pochi individui hanno una storia, un destino, un volto, e sono gli ospiti televisivi: tutti gli altri già a quindici anni avranno solo mutande firmate da mostrare su e giù per la Francesca e un cuore pieno di desolazione e impotenza.

La Jù.



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