LAY LOVE

Io e Lui eravamo inseparabili. Mi aveva fatto conoscere Bruce Springsteen. Dopo il primo riff che sentì, ne fu rapito a tal punto da non chiedere più alcun riscatto.
Ci piaceva il cinema coi suoi sogni imbizzarriti, talvolta più reali della realtà che ci circondava.
Ci univa la passione per il calcio. Io per la Lazio, Lui per la Juve, ma soprattutto per la potenza e il tocco fine. Il sudore e la maglia strappata. La precisione e la grinta. Il coraggio e il valore. Baggio e
Boksic.
Avevamo entusiasmi come cavalli selvaggi scappati dal recinto per correre sulla sabbia.
Leggevamo gli stessi libri quei mesi.
Kerouac e Salinger, Bosco e Roddy Doyle.
Due volte Nelle terre estreme.
Ci scambiavamo le giacche di jeans scolorite.
Facevamo scherzi macabri a malcapitati infermieri ( prontamente ribattezzati nemici ), del tipo far penzolare il braccio di un bambolotto dal di fuori del letto su un corridoio deserto di un ospedale, sul ciglio della finestra del quinto piano o impiccare bamboline alle travi dell'armadio. O lasciare messaggi scritti con parole di giornale ritagliate, sul comodino prima di andare a farci un giretto.
L'America la sognavamo non solo di notte.
Speravamo che anche lei, qualche volta annoiata, sognasse noi.
Una domenica di marzo, nell'atrio dell'ospedale, avevamo inventato la corsa dei carrelli. Uno spingeva, l'altro stava sopra, seduto o in piedi. Eravamo in quattro quel giorno con Dervy e Ste.
Pochissime persone a ridurre lo spazio utile della pista.
Era il mio fidanzato. Era il mio migliore amico.
Non fece in tempo ad arrivare ad aprile che non era più niente di tutto ciò.
Come vanno in fretta i ritmi quando sei un ragazzo.
Cambiano le cose più velocemente della lancetta dei secondi.
E lui ora era diventato per me da uno dei pochi, il solo.
Tutto per una malattia.
A quell'età si riesce persino a essere gelosi di Dio se ti ruba il fidanzato.
Così fu per me, con gli altri intenti a dirigere catechesi su "Purtroppo è la vita, mi dispiace" o comizi su "vedrai, un giorno non ci penserai più".
Ma quando quello che senti ha più voce di quello che gli altri ragionano, lo stadio può pure restare vuoto.
L'amore batte la rabbia anche fuoricasa.
"Non credo a una parola di quello che dite".
Parole inghiottite da un rancore visibile, quasi palpabile che mi lasciarono spogliata di ogni cosa. Come cospargersi la lingua di sale e poi bere un thermos di caffè.
Lì pensai che se mai fossi arrivata davanti a un prete, avrei dovuto rivedere la lista degli insulti da dirgli.
"Non condivido ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo", disse Voltaire.
Mi ha sempre colpito questa freccia scoccata, nonostante alcune persone si adoperino coi mezzi più subdoli per parlare di te con chiunque gli capiti a tiro, comunque.
Ma il loro vino è fasullo. E' allungato con acqua, come fanno i bravi ragazzi vestiti di bianco che ti suonano il citofono la domenica mattina per avvisarti che l'apocalisse è in città.
Io credo che lui non mi dicesse tutto e si comportasse come se la leucemia fosse un equivoco risolvibilissimo, per sentirsi meno solo.
Per me era vero come una delle mie due mani. Ora era pur sempre vero, ma nel catalogo fuori stagione della mia stima era vero come un semaforo sul Cervino. Vero come un dollaro italiano.
D'altra parte io, nella sua personale classifica, dovevo essere passata dall'impersonificare Bob Dyland a quella che gli cantava a fianco di notte le canzoni di Max Pezzali nei primi 883.
Così mi attaccai a lui come una figurina, cercando di proteggerlo alla meglio.
Non ce l'abbiamo fatta. Non siamo rimasti attaccati. Ci scollammo dal nostro album delle meraviglie perchè così, evidentemente, doveva andare.
Ma lui non aveva ragione lo stesso.
Il perdono cerca di chiudere il buco che il rancore insiste ad allargare.
E' una questione di fiducia. Quando porti qualcuno in cima alla tua montagna e gli mostri quello che vedi del mondo da lì, gli apri la finestra sul tuo universo, affinchè anche Lui la contenga nel suo sguardo.
Se poi Lui ( che poi non è Lui ma qualcun'altro che devo ancora capire bene chi sia) decide di tornare a valle, sarà difficile che ti venga voglia di riportare su qualcun'altro a vedere quanto è più largo adesso il tuo orizzonte.
Il male che senti è lungo a passare.
Non puoi mettere l'acqua ossigenata sulle ferite interne, sono coperte dalla pelle, dai vestiti e più ti adoperi per nasconderle sotto i tuoi strati, più pesano e bruciano dentro, dove non le puoi toccare, curare. Dov'è difficile guarire.
Tutte le falsità e i biechi sorrisi da cellophane li porti all'autolavaggio dell'anima.
Ma la fiducia non so più dove l'ho messa. Eppure era sempre con me, una volta.
Quando l'America era il nostro posto, ci sporcavamo di terra dietro a un pallone bucato, Springsteen cantava di eroi normali come noi e avevamo giurato e spergiurato che niente, nessuno, mai, ci avrebbe potuto separare.
Buon viaggio, mio Tu.

La Jù.








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