E QUALCOSA RIMANE

Sono passati esattamente tre anni e tre giorni da quando sono entrata per la prima volta da insegnante in una classe: come si fa in questi casi, vorrei dire "sembra ieri" anche perchè oggi, nella vita faccio tutt'altro ma in realtà è trascorso così poco tempo che mi ricordo persino i motivi che mi avevano spinto a inviare quelle cento buste a cento scuole con il scarnissimo curriculum e la proposta "se serve un aiuto, anche breve, io sono qui". Pensavo che nessuno avrebbe risposto, e che in ogni caso si sarebbe trattato di un momento di passaggio, una tappa intermedia prima di trovare un lavoro vero e ben pagato. Credevo che il destino mi aspettasse già da qualche altra parte, a una tavola apparecchiata sountuosamente, che di sicuro sarei diventata la giornalista di punta di qualche giornale o di qualche casa editrice, o una sceneggiatrice di grido, oltre che un acclamata musicista. Avevo bisogno di guadagnare ogni mese un pò di soldi, e la scuola mi sembrava al momento un ripiego dignitoso.
Arrivò una telefonata da una scuola elementare di paese, gestita da una simpatica signora che aveva vissuto sempre lì e che aveva sempre sognato di dedicare la sua vita a una bizzarra impresa pedagogica. Nella scuola c'erano pochi disegni, il più bello era quello di una bambina che aveva disegnato una gabbia con un lupo siberiano e naturalmente c'erano gli studenti: abitavano un altro pianeta, eppure mi sembravano troppo diversi da me, forse perchè avevano solo pochi anni di meno. Provavano a recuperare il tempo perduto tra le figurine dei calciatori e una partita a pallone, di studiare non avevano molta voglia, ma erano comunque preoccupati per il futuro, per la vita che è sempre in salita e che va pedalata metro dopo metro.
Faccio la supplente per un anno-mi dico- faccio un'esperienza nuova, mortifico un pò il mio ego, pendolo avanti e indietro tra la provincia e l'indefinito, studio ancora un pò insieme a questi ragazzi che potrebbero essere i miei fratelli e le mie sorelle più piccoli.
Subito mi è piaciuto tornare in classe, questa volta dall'altra parte della cattedra. Osservavo i miei studenti, intuivo istintivamente la fortuna esistenziale di frequentare grazie a loro due tempi diversi, forse addirittura opposti, perchè ogni adolescente contiene fisiologicamente l'eternità, si confronta con le domande assolute, chi sono, dove vado, che senso ha studiare, perchè mi sono innamorato di quella che non mi vede proprio, perchè soffro così tanto, perchè penso alla morte? E d'altronde l'adolescente è una spugna che si imbeve dell'acqua limpida e sudicia del presente, vibra per un paio di pantaloni alla moda, trasuda attimi fuggenti, canta le canzoni dell'estate e ama e odia il campione del momento. E' fuori dal tempo e contemporanemanete ne è il figlio prediletto. Questo mi emozionava, mi permetteva di restare vicina alla ferita o alla sorgente originaria e di aggirarmi costantemente sulle onde che arrivano e passano.
Anni fortunati, quelli, in cui trovare lavoro non era difficile come oggi: così un giorno mi hanno chiamato da un'altra scuola, dopo qualche mese un'altra ancora e, bontà loro, mi hanno dato in comodato d'uso gratuito una cattedra nella scuola pubblica da dove me ne sono andata non perchè fossi una fannullona ma perchè non avevo i requisiti per restarci.
La scuola è profondamente cambiata dopo il '68 credo, quei ragazzi idealisti e generosi chiedevano di aprire le porte al mondo, chiedevano di aggiungere ai soliti programmi quanto di emozionante circolava nello spirito di quegli anni. In fondo se la mia vita è segnata dall'amore per i libri, la musica, l'arte, il gran merito ce l'ha la mia insegnante di lettere del liceo, Irene Sestili, che ci parlava di Beckett, Camus, Coltrane, senza per altro trascurare Poliziano e Parini. Quella porta tra la scuola e il mondo è rimasta spalancata, non poteva essere diversamente, e quando anch'io sono diventata insegnante ho visto cosa il mondo, anno dopo anno, aveva scaricato in classe. E' stata una lenta discesa agli inferi: la società dei consumi s'è fatta più furba e più aggressiva, ha azzannato dolcemente i giovani e gli ha versato dentro il veleno del desiderio. Chi pensa spende poco, chi si ferma a leggere, a coltivare la propria individualità, a sognare l'impossibile, non ascolta le sirene che cantano la canzone della felicità facile facile, che rallenta dentro la malinconia dell'adolescenza non bada alle luci del paese dei balocchi.
In un anno ho visto ragazzi smarriti. La scuola ripete la solita lezione, una storia fatta di sacrifici, solitudine, concentrazione, fatica, ma chi vuole più dare retta a queste parole quando dall'altra parte scintilla l'oro di Eldorado?
"Maestra, la saggezza oggi non serve, è una cosa del passato", mi aveva detto un alunno bellissimo che sognava di fare il contadino "basta avere tanti soldi".
"Scrivete sul quaderno questi titoli di libri scritti da scrittori inglesi, li trovate tranquillamente in biblioteca in italiano, per chi quest'estate avesse voglia di leggere qualcosa di interessante", dico e quasi tutti i miei alunni avevano preso il telefonino.
"Ragazzi, scrivete questi titoli", e una simpatica ragazza dagli occhi azzurri ha replicato seria:" Li sto scrivendo al cellulare così stanno al sicuro".
Così insegnare era diventato ogni giorno più difficile, mi sembrava quasi di lavorare fuori dal mondo, da un mondo che rotolava gioiosamente verso la rovina. Però avevo tenuto duro, e le mie colleghe facevano altrettanto: mi sembrava di seminare nel vento, nel nulla, nell'indiffirenza, ma in fondo sapevo che non era vero. Sepolta sotto tonnellate di immagini bugiarde e seducenti, una zolla nella mente dei ragazzi accoglie, incamera, trasforma segretamente.
Qualcosa è fiorito, se non oggi domani, se non domani tra dieci anni, quando tutta questa acqua che brilla d'olio e sozzerie si ritirerà.
Bisogna avere fiducia, insistere, ricominciare, anche se a volte sembra che non ci sia più niente da fare, che la partita sia perduta, che ogni forma di consapevolezza sia stata schiacciata per sempre sotto i tacchi di una follia ballerina. Intanto il ghiaccio scricchiola, cede, è già molti sono scomparsi nel buio e nel freddo ma vedersi arrivare ancora a casa le cartoline dal mare dei tuoi ex alunni, essere invitata a cena dalle loro famiglie come se tu fossi una figlia acquisita, solo un pò più grande, cercare di rispondere alle loro disarmanti domande sul perchè un amore sia finito, sorridere alle loro parole, che siano scritte, cantate o nascoste è un privilegio a cui non vorrò mai rinunciare.

La Jù.

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