LA NOTTE

Non ditelo a nessuno, ma la notte è molto meglio del giorno.
Perchè di notte quasi sempre si dorme. Perchè di notte QUASI MAI si dorme. E quando non si dorme si fanno altre cose, ma non quelle che vengono in mente di giorno: quelle che vengono in mente a tutti e che per tutti sono normali. Per intenderci: non le cose che rendono giorno il giorno. Di notte si fanno le cose che vengono in mente di notte, come sognare, pensare, sperare, credere, crescere, amare, giocare, vivere. Ascoltare. Di notte si ascolta meglio il mondo, perchè di notte il sapore del mondo se ne esce forte, acre, profondo, come il profumo dei fiori delle notti d'estate. Di notte si vedono molto meglio le stelle, le stelle che sono troppe, che sono così tante che ci si spaventa a guardarle, o che ci si rassicura. Di notte si vede la luna. Anche di giorno qualche volta si vede la luna, ma la luna di giorno non parla, non parla mai. La luna di giorno è fuori posto, crea l'imbarazzo dell'inutilità.
Di notte le cose parlano. Di notte gli uomini ascoltano e le cose parlano. Non ci vuol molto a capire le cose di notte, se si conosce la notte. Aspetta, siediti e ascolta.
Lo scricchiolio di un armadio.
L'impazienza di un vecchio rubinetto.
Lo sgranchirsi della libreria.
La silenziosa crescita di una foglia.
Prova ad ascoltare ancora, perchè la notte è il tempo dell'impercettibile.
Ci sono colori, nella notte. Ci sono tutti i colori del buio. Se sai guardarli, sono colori pieni di colore.  Prova a chiudere gli occhi, adesso. Chiudili forte, fortissimo. Fallo ancora e cerca tutti i colori che ti regala la tua testa. Tienili bene dentro, quei colori, perchè ti serviranno domani, quando la notte sarà sparita d'incanto e il giorno avrà bisogno della tua fantasia. Siamo noi che coloriamo la vita, la coloriamo con i colori che abbiamo saputo scoprire nel buio della notte.
Ci sono incontri, nella notte. Ombre che diventano giganti, così grandi che ci sembra di non avere le braccia abbastanza lunghe per poterle abbracciare. Eppure sono ombre-persone, ombre reali come noi- siamo noi ombre giganti per gli altri, anche-, ombre-persone che dicono cose grandi come montagne, solide come rocce, magiche come maree. Cose che si dicono solo la notte.
E ci chiediamo- nella notte- perchè quando viene il giorno tutto diventa forse più banale, certo più incomprensibile. Perchè gli Amori tornano ad essere amori normali- di giorno- e le Grandi Intuizioni si mortificano a pensierini, e gli Amici si ridimensionano a semplici amici e le cose si riscoprono mute.
E perchè i sogni, che sono nella notte reali, tornano ad essere sogni, il giorno dopo.
Eppure basta avere le chiavi per aprire le porte della notte per aprire anche i muri del giorno. E' semplice, in fondo.
Viviamo una sorta di notte, in questi tempi così imprecisi e foschi. Ma è una notte piatta, buia, silenziosa per il troppo vociare. Una notte difficile fuori di noi, certo, e chissà, forse anche dentro di noi. Eppure, ce lo siamo detto, la notte ha letture accessibili, basta conoscerne l'alfabeto. Che è fantasia, curiosità, amore, attenzione, sensibilità, disponibilità, senso del reale e gusto del sogno. O senso del sogno e gusto del reale. Che è poi la stessa cosa.
In fondo c'è soltanto questo modo per vivere la notte. E per preparare il giorno che viene, perchè il senso più vero della notte resta soprattutto e inevitabilmente Il Giorno.

La Jù.

CAPO DI BUONA SPERANZA

Le amiche sono state fondamentali nel percorso di analisi che mi ha portato alla risoluzione dei miei problemi e delle mie insicurezze.
Non sarebbe successo nulla se non avessi trovato il modo di sciogliere i miei nodi aprendomi con chi ho accanto. L'ho fatto ed è stata davvero una bella idea.
Molti pensano che andare da uno specialista, psicologo o psichiatra, sia difficilissimo e tremano solo all'idea di confidarsi con uno sconosciuto perfetto. Vero, può non essere semplicissimo aprirsi con qualcuno di cui non sappiamo niente, ma per me è stato il contrario.
Il fatto che il mio interlocutore non avesse nulla da spartire con me mi ha sempre fatta sentire libera. Ero sollevata da ogni responsabilità: quella di mantenere un contegno, quella di ferire chi avevo di fronte o, peggio ancora, di scioccarlo con le mie rivelazioni.
L'analisi è diventata la mia ora d'aria. Rilassante, bella, persino divertente, sicuramente terapeutica. Ho capito che qualcosa davvero non andava in me solo quando mi sono resa conto che provavo piacere a parlare con una sconosciuta perfetta che, anche se mi ispirava fiducia e mi stava aiutando molto, rimaneva pur sempre una sconosciuta perfetta.
I quarantacinque minuti di ogni seduta volavano e andando via chiudevo la porta con una sensazione sempre diversa: sgomento, paura, allegria, eccitazione, curiosità, coraggio, dubbio.
Comunque, sempre "ispirata" e piena di voglia di tornare.
Ma come mai stavo così bene con una sconosciuta, professione a parte?
Perchè dovevo lavorare sul mio senso di socialità. Lei me lo ripeteva spesso, io lo capivo ma lasciavo tutto lì, di fatto non cambiavo nulla e il mio mondo sociale rimaneva fermo e spento.
La rivoluzione è arrivata col dialogo, il più complicato, con chi mi conosceva bene.
E' lì che tutto si ribalta, e gli equilibri diventano difficili da gestire. Si mette in gioco così tanto di sè che si muore dal terrore. Temevo che la fiducia e la credibilità conquistate in anni di amicizia si incrinassero. Perchè? Mistero della mente di chi è vittima dei suoi cattivi pensieri.
Allora sono arrivati in sequenza ( sparsa ) un pò tutte le mie amiche.
Da pessima empirica-matematica ed ex studente di liceo, le avevo divise in due gruppi: le 50 per cento e le 100 per cento.
Le 50 per cento erano quelle alle quali avevo già parlato di come stavo...ma che non conoscevano il resto: il percorso dell'analisi, i farmaci, la voglia di risolvere tutto e uscire fuori.
Le 100 per cento erano le più difficili, perchè non sapevano proprio NIENTE.
Assurdo pensarci adesso, ma le 100 per cento erano molte di più delle 50 per cento e, soprattutto, mi erano così vicine nel quotidiano che sembrava impensabile averle tenute completamente all'oscuro di tanti eventi così grandi.
C'è stato chi ha pianto, chi ha riso, chi ha domandato, chi è rimasto in silenzio, chi mi ha abbracciata e chi mi ha addirittura ringraziata come se le avessi fatto un favore( abbastanza, in effetti) perchè non ne poteva più di vedermi triste e martoriata da qualcosa che, evidentemente, stava rendendo la vita impossibile a me e a chi mi stava accanto, alla mia assoluta incapacità di reagire.
E' stato come osservare da lontano l'avvicinarsi dell'apocalisse, il momento in cui sarei morta, per poi rendermi conto che invece stava semplicemente iniziando una nuova vita, una vita che mi somigliava decisamente di più.
E' stato come cominciare faticosamente il viaggio nei meandri del mio inconscio, dovermi confrontare obbligatoriamente con i lati più oscuri e intimi del mio immaginario.
Perchè le amiche a volte sono le migliori dottoresse che possiamo trovare, ognuna con la sua specialità, il suo talento e soprattutto il suo tatto. E ognuna delle mie amiche ha curato una parte di me lasciata in sospeso.
C'è stato chi, non sapendo cosa dire, ha preferito rimanere ad aspettare e poi è tornata più forte di prima, chi mi ha detto che mi sarebbe stata accanto di fronte a qualsiasi difficioltà, chi l'ha presa in maniera "politically correct" e chi l'ha buttata subito sulla voglia di aiutarmi a raggiungerMi, chi è rimasta sgomenta e chi, dopo essersi fatta una risata, ha ordinato un'altra birra per brindare, chi ha giurato di sapere benissimo quale sarebbe la persona perfetta per me ( anche se non lo so nemmeno io ) e chi addirittura ha promesso di aiutarmi a trovarla.
Ho riflettuto, pianto come non mai, mi sono confrontata, mi sono superata, ho sperato, ma soprattutto...ho riso tanto, ma così tanto, da capire che il futuro non potrà non essere migliore.


La Jù.

QUANDO NON CI SARO' PIU'

Ciao...
...è proprio vero che la parte più complicata di una lettera è l'inizio.
Questo foglio di carta a righe strappato, rubato dal centro del quaderno che uso per scrivere i testi delle canzoni, sembra uno di quei fogli protocollo sui quali da anni non scrivo più i temi, le versioni di latino o i compiti in classe di inglese.
Bravo, voglio dirti bravo perchè ti vedo camminare verso il futuro con il passo di un bambino sempre più consapevole.
Non so se e quando leggerai questa lettera, perchè io non ci sarò più. Spero che tu non stia male, mi auguro che gli occhi che leggeranno queste righe siano quelli di un ragazzo felice, soddisfatto e già pieno di ricordi, sicurezze, equilibrio, ma soprattutto amore.
Non è facile, a ventitrè anni, trovare la spinta o la voglia di scrivere quello che diventerà il proprio testamento, ma sento che è una di quelle cose "da fare".
Sono stupida perchè ho già riempito la prima pagina senza averti ancora veramente detto niente.
Per prendere fiato e riordinare le idee ho dato un sorso alla tazza di orzo che ho accanto a me, ma è ancora bollente e quindi ricomincio a scrivere. Tanto prendere tempo è inutile quando ormai hai deciso di non prendertene più, di tempo.
Tra non moltissimo metterò in atto una scelta di quelle che, per come la vedo io, potrebbe benissimo essere definita LA SCELTA.
Uno di quei bivi di fronte ai quali a volte ci si trova e che, oltre a cambiare definitivamente la propria rotta, potrebbe cambiare anche quella degli altri.
Tra poco, dopo tanto tempo speso a provare e a faticare, sparirò.
Sorrido perchè credo che, quando leggerai questa lettera, tutto quello di cui ti sto parlando sarà già accaduto e forse starai scorrendo queste righe disordinate e senza senso sforzandoti di accennare un sorriso anche tu, perchè quella che ti presento come una notizia sconvolgente potrebbe essere diventata solo un ricordo archiviato da anni. Uno di quei dati di fatto ai quali al massimo dedichiamo un pensiero durante un momento di forte nostalgia.
Nel tuo silenzio e nel tuo saper tenerti in disparte hai dimostrato la maestria di chi è sufficientemente maturo per stare al mondo.
Sei già un uomo e io sono orgogliosa di te.
Sento che sai quanto amore, passione e generosità ho messo in tutto quello che ho fatto nella vita. Quanto ho faticato per provare a stare meglio e sentirmi davvero in pace con me stessa. Tu lo sai.
Purtroppo, sento di aver fallito e, a un passo dai miei ventiquattr'anni, mi ritengo sconfitta. Tristemente, mi preparo alla resa.
Tu sei sempre stato lì a osservare tutto da mezzo metro, con curiosità, discrezione e profondo spirito critico: i movimenti, le vittorie, i drammi, le solitudini, i successi, le fatiche. Me.
Ho sempre avuto l'impressione che tu sapessi bene cosa mi muoveva e cosa stavo pensando e quanto genuina fosse la mia voglia di tradurre in qualcos'altro il mio mutismo sentimentale.
Ecco, forse è questo il motivo per il quale lascio tutto: io "muta" non voglio più rimanere.
Ho lavorato molto su di me e sui miei limiti, la mia interiorità e il mio bisogno di cambiare, arrabbiarmi, parlare, contare su qualcuno, amare, odiare...tutti quegli istinti che per anni hanno avuto voce solo nelle mie canzoni.
Chissà se tutti quei messaggi in codice sono stati decifrati dai destinatari?
E' così: le mie canzoni e quello che ho scritto hanno sempre contenuto un messaggio univoco, che gli altri dovevano o capire o non capire affatto. Che strano, eh?
Non sono mai stata in grado di usare le parole e ho mimetizzato qualunque sentimento tra i versi di una canzone, soffocandolo in una giungla di versi, in una melodia.
Ma ora non basta più.
Ti scrivo perchè chiedo a te di tenere vivo il mio ricordo. Perchè quello che rimane sia tuo e solo tuo, perchè ci sia poco ma quel poco sia buono, dolce, sia come tu puoi capire.
Ti lascio una collezione di quaderni, è quanto di più prezioso ho nella vita perchè è la mia vita stessa: registrata da quando avevo quindici anni.
Non ho il coraggio di bruciarli e nemmeno di leggerli, ho paura che qualcuno li scopra ma non riesco a disfarmene, è più forte di me.
Se vuoi un parere: non aprirli. Io forse non riuscirei a leggere i tuoi.
Ma lascio a te la scelta.
Puoi leggeerli-e anche riderne-, conservarli, nasconderli, ma una cosa ti chiedo: proteggili.
Il mondo sa di essere cattivo con chi non riesce a difendersi e io non ho mai veramente imparato a farlo.
E poi fammi un piacere, uno solo: sii orgoglioso, qualunque persona tu sia diventata. Io sono certa che chi sta leggendo queste righe è un ragazzo degno di essere definito tale perchè sa amare e rispettare. Lo vedo già.
Non fare come me che, volendomi perfetta, ho passato la vita a osservare solo quello che di me pensavo non andasse bene, finendo per non avere nulla tra le mani, tranne la mia voglia di morire.
Adesso ti saluto, ma un'ultima cosa te la voglio scrivere.
Voglio dirlo in questa lettera anche se sarà l'ultima cosa che ci unirà, almeno qui sulla terra: sei la persona alla quale ho voluto più bene in assoluto in vita mia.
Non dimenticarlo mai, non dimenticarti.

PS Tanto per sdrammatizzare sappi che ora sto piangendo pure io, ammesso e non concesso che anche tu lo stia facendo. Anzi, ecco una lacrima.

La zia Jù.

TUTTO ( O QUASI) SU MIA MADRE

Quando mia mamma, con una regolarità degna di miglior causa, mi sculacciava praticamente ogni giorno, finiva il suo rito spiegandomi che l'aveva fatto "per il mio bene". Con le cosce rosse e bianche per il segno delle cinque dita e la faccia colorata dalle lacrime ormai secche, confesso che facevo una certa fatica a capire la ragione delle sue parole. Il mio bene mi sembrava agli antipodi da quella dose giornaliera di sberle.
L'ho capito dopo, quel senso. Quando non mi sculacciava più.
Adesso è difficile spiegarlo ai miei ventiquattro anni ribelli, alla mia voglia di conoscere il mondo, troppe volte frenata dagli autolimiti che mi do. Dai miei no. (Perchè di sberle non è proprio più il tempo, anche prima che quel pretore le dichiarasse "anticostituzionali": ma non vi sembra esagerato? Non vi sembra che certe sentenze andrebbero riservate a decisioni un pò più importanti di un paio di scapaccioni?) . Eppure quel rituale quotidiano mi ha insegnato- magari in una forma un pò troppo esuberante- che certe cose si possono fare altre no. Mi ha insegnato che esistono dei limiti, delle frontiere. Che alcune cose sono permesse e altre no. Che non potevo fare tutto quello che volevo.
Non era un consiglio da amica. Era un insegnamento da genitore. Perchè mia mamma non ha mai cercato di essermi amica anche se continua a curarmi come una neonata e mi fa ridere quando sono a pezzi: si sforza di farmi da genitore.
Ripeto un pò le parole, però non ci sono molti termini per spiegare questa differenza che qualche volta rischia di dissolversi tra una tentazione pseudo-pedagogica e una stanchezza esistenziale.
Ecco. Stanchezza è proprio la parola giusta. Non sempre è facile dire di no, resistere alle mie repliche o ai miei sguardi offesi, magari alle mie accuse. Ma a volte penso che non possa fare altro.
A sedici anni, come a dodici, a diciotto e anche a ventiquattro, spesso si crede che il mondo sia a portata delle nostre mani, che tutto sia permesso, che non esistano ragioni valide per negarci niente: perchè no? E a volte è impossibile trovare una risposta razionale. Ma ho imparato presto che il mondo non è fatto solo di risposte razionali. E' fatto di errori, di follie, di tentazioni, di inciampi. Soprattutto è fatto di ostacoli e limiti da superare e abbattere.
Mia madre, mi ha insegnato a saltarli quegli ostacoli, mi ha trasmesso la forza che mi era necessaria per andare oltre e lo ha fatto sebbene, a volte, quella forza mancasse anche a lei: quello che penso è che il suo compito sia stato quello di farmeli vedere quegli ostacoli, di disegnarmele quelle frontiere. Ma non proibirmi di superarle. Perchè le proibizioni non vanno mai bene e perchè devo decidere da sola se saltarle, aggirarle, infrangerle, dimenticarle o riderci sopra. Posso fare tutto quello che voglio, ma sono io a farlo e soprattutto so che ogni tanto nella mia vita troverò ancora dei limiti con cui dovrò lottare.
Ecco cos'è, forse, il "mio bene": non credermi come Superman o Wonderwoman, ma sapere che esistono dei limiti. Per avere la forza di superarli, per non lasciarmene mai condizionare. Io so che ne sono capace.
Ringrazio mia madre per avermi fatto "provare", per avermi fatto misurare le mie forze. Come? Nell'unico modo in cui un genitore può farlo. dicendomi di no. Perchè no? Perchè no! Senza paura di essere autoritaria o anti-democratica.
La democrazia l'ho conquistata da sola, insieme ai miei amici, quando ho imparato a camminare da sola. E ho lasciato i miei genitori a casa: preoccupati per il mio futuro ma certi che saprò affrontarlo.

La Jù.

NOTTEINBIANCO&PENSIERICOLORATI

Mia madre è la cucina. Mio padre è il salotto. Più precisamente il divano del salotto.
Io, invece, sono stata camera mia e quella soltanto. Lì dentro c'ho buttato di tutto. Ho cercato di coprire i muri spogli con quante più foto e ritagli di giornale potesse, solo perchè al momento di dormire potessi fingere di trovarmi ancora lì, in quei posti , dove, in un certo senso, ero salva insieme a James Dean, Montgomery Clift e John Lennon.
Una volta il prete ha detto che la salvezza te la guadagni a forza di portare croci in cima al tuo monte sacro. Io, sulla sua cima, ci portavo gli amici a vedere le mie promesse infrante. Sembrava più un cimitero di una città fantasma che non fa più paura. Un posto come un altro dove giocare a poker.
In due grossi scatoloni ho tenuto fino all'altro ieri tutte le mie lettere. I biglietti dell'autobus non timbrati. Le frasi scritte su un pezzo di scottex e appiccicate alla bell'e meglio sul parabrezza della macchina. Ho tenuto tutto quanto come una maniaca. O forse solo come una che ha paura di perdere. Un nome, un indirizzo, un episodio. Qualche vita da trovare in uno scatolone quando la tua cade a pezzi. Parole mai paghe, ma invecchiate in attesa di riscuotere gli interessi di una risposta ancora da venire.
I mie diari.
Leggo qua e là. Ah...anche dieci anni fa avevo paura.
"Senza poterlo dire a nessuno. Perchè si aspettano da me che li ascolti, che li salvi, che lì io sappia sempre cosa fare...".
Le solite cose. Un pò meno "svegliarmi alle tre del mattino perchè un fantasma di dieci anni prima bussa alla mia notte...".
Stupido l'aver "raccontato tutta me stessa alle prime orecchie disponibili, solo perchè in giro non c'era nessuno di meglio e io avevo bisogno di sfogarmi". Stupida, si. Però quante volte, anche ieri.
"Finito per regalare a un estranea le mie scelte deprecabili" ( Deprecabili...da quando La Jù conosce questi termini?)
Tracce di me in quel "troppe volte desiderato aver un amica ( una mamma?) che mi capisse e non perchè mi comsidero ( scritto così, con la m- ora la riconosco mia mamma ) una persona di cui si può sentire la mancanza, il bisogno. Ma perchè so cosa vorrei, che chi mi sta accanto amasse, possedesse, detestasse, insomma. Una che fosse abbastanza vicino a me da permettersi il lusso di vederci dentro e aiutarmi, senza per questo prendermi per il culo. Senza dover sempre nascondere, difendere la porta che blocca il mio universo. Ti accorgi ben presto che non puoi pretender dalla gente che sia come tu la sogni. Perchè non ne hai il diritto.
Poi tutti quei maledetti non capisci, non capisci, non capisci...
Non sono quasi mai gli altri a non capire. La colpa è di chi spiega- vedi innumerevoli prof di mate che fanno odiare la materia a tutti quelli che amando la matematica avevano scelto proprio lo scientifico. E più vuoi raggiungere tutti, più rischi di perdere quei pochi che a fatica avevi conquistato...
Qualche volta mi piacerebbe essere morta prima...".
E scopro di essere rimasta sempre e soltanto sulla soglia di me stessa.

La Jù.