LA NOTTE DEI DESIDERI

Qualcuno- faccio finta di non ricordarmi chi perchè l'hanno detto e ridetto in tanti, da Bob Dylan a mia madre- una volta ha detto: "Sapevo molto più allora, di quanto sappia adesso".
Secondo me è un problema di specchi. Di come ti avvicini, allo specchio.
Io per esempio ne resto un pò lontana. Diciamo quel tanto da vedere la mia immagine sfocata per paura di riconoscermi. Di guardare la mia faccia e capire che non è esattamente come me la sto costruendo con gli altri.
Gli specchi li guardo da lontano, ma mi trovano dappertutto. Sul cofano di una macchina, nei riflessi delle vetrine...preferisco i mobili lucidi dove si vede solo il contorno, come una foto controsole, che ti fa solo la sagoma.
Ma c'era un momento in cui io e lo specchio ci guardavamo ed eravamo innocenti. Nel senso che non sapevamo le risposte e nemmeno le cercavamo. Succedevano cose che non riuscivi a spiegare eppure capivi benissimo. Quando tutto era incredibile e possibile. Dicono sia il momento più felice. Quello in cui vivi le cose senza sapere come si chiamano. A pensarci è una faccenda romanticissima, come amare una donna una vita e scordarsi di chiederle il nome perchè non è importante.
Finchè lei si volta.
"Ora è meglio che vada".
"Forse potresti rimanere".
"Ma se non sai nemmeno il mio nome".
"Non dirmelo mai".
"Perchè?".
"Perchè quello che ho vissuto è troppo bello, troppo forte, troppo incredibile per morire il giorno che ti penserò e...".
"...E?".
"...e mi sfuggirà il tuo nome".
Forse perchè un certo alone di mistero è sempre affascinante. Se metti davanti a un bambino una mano aperta e una chiusa lui è attirato da quella chiusa perchè vuole sapere cosa ci tieni nascosto lì dentro. E non è molto diverso quando cresci. Dopotutto perfino le strade possono cambiare il nome, ma non la direzione.
Il senso di andare, quello, non lo perdono mai.
Si dice che l'incosciente invece li perda eccome, i sensi, anche se io credo fermamente in alcune forme d'incoscienza come modo per ritrovarli tutti quanti, i sensi e tenerli in pugno. Ma un pugno mai troppo serrato. Perchè è qualcosa che non puoi trattenere. Che sai di poter riscaldare nel palmo fino a un secondo prima di capire che non potrai mai possederla del tutto. La consapevolezza.
E' allora che lei si volta di nuovo.
"Ora è meglio che io vada".
"Dove vuoi andare se non c'è niente di meglio che qui?".
"Non posso saperlo".
"E allora cosa intendi fare?".
"Uscire a scoprire fin dove mi posso spingere".
"Per quello c'è la finestra".
"E' inutile parlare con te".
"Ma se mi hai aperto il tuo scrigno segreto".
"Ma se non sai nemmeno il mio nome".
Io e lo specchio abbiamo riflettuto a lungo, ma non sappiamo ancora dov'è la colpa. Perchè se perdi l'innocenza cosa diventi? E quand'è che ho smesso di essere innocente? Quando ero stata io, ma non ho alzato la mano e hanno punito tutti?
Quando mio cugino sul terrazzo mi ha detto che Babbo Natale era mio padre? Quando ho sentito due fare l'amore? Ci deve per forza essere una colpa, solo che la giuria ti dichiara colpevole prima ancora di sapere il tuo nome.
E allora mi piacerebbe pensare che lei si voltasse ancora una volta.
"Ora è meglio che vada".
"Va bene, ma posso chiederti una cosa, prima che mi passi di mente?".
"Dimmi".
"Qual è il tuo nome?".
E una volta rivelato, dirle che non è colpa sua.
Passi una vita a imparare a crescere, a cercare le risposte, a cambiare le domande e poi ti accorgi che prima, quando non chiedevi niente, non eri affatto un ignorante. Sapevi tutto.
Facile come dare il nome sbagliato alla cosa giusta. Di un meraviglioso bimbo straniero con un nome impronunciabile, non ricorderai mai come si chiama, ma la forma del suo viso, quella la riconoscerai al tatto anche su una guancia, in un sogno qualsiasi, una notte qualsiasi, un'estate qualsiasi.
E ieri che la giuria era riunita per casi molto più eclatanti dei miei, mi sono nascosta dietro un muro e l'ho fatta franca.
Ho usato il mio stupore e sono tornata innocente.
Non c'ho provato, è semplicemente successo per poi abbandonarmi di nuovo, ma per quelle briciole d'attimi sono tornata alla sezione di anni e anni prima, quando i pantaloni erano più corti e la vista più lunga.
Stavo guardando la TV sdraiata sul divano. Quasi per addormentarmi. E d'un tratto mi sveglio: li vedo. Un gruppo di vecchietti al rallentatore che si rincorrono, suonano i campanelli e scappano fischiando, urlano e si baciano dietro ai muretti, tirano pietre con la fionda contro i vetri di una finestra come ragazzini, si riuniscono in due bande rivali e prima giocano, poi litigano e si menano tra le foglie finchè uno di loro non perde sangue e allora quelli dell'altra banda si bloccano come statue di marmo, spaventati, perchè non sanno dare un nome a quella cosa o perchè decidono di darglielo un nome e la chiamano PAURA e non appena lo fanno non sono più innocenti e sono più spaventati di prima e allora scappano via e il vecchietto col naso sporco di sangue si rialza e butta le braccia al cielo come per agganciarlo più che per abbracciarlo e la sua espressione si tramuta da dolore in vittoria perchè li hanno cacciati da lì e quel territorio adesso è il loro e quelli della sua banda fanno come lui e sanno di gioia e giovinezza, di quella che non puoi consumare e che non può invecchiare e mi sono messa a piangere.
Mi sono messa a piangere solo che non mi ricordo quando ho cominciato.
E il video della canzone finiva e io mi ero accorta che i miei occhi erano pieni della pioggia sacra della mia anima, piegata come una maglia appena stirata sugli scaffali dei miei anni e che ora per quei brevi secondi era tirata a lucido e brillava.
Non sapevo per quale motivo stessi piangendo, ma non ho commesso errori stavolta.
Non me lo sono chiesta, il perchè.
Poteva essere per mia madre, per la stanchezza, per la rabbia e la voglia di riuscire in quelle cose dove invece sai che faresti meglio a lasciar perdere, per tutte le persone che ho dimenticato e per quelle che mi stanno dimenticando adesso, ma una cosa è certa: non piangevo senza motivo.
Piangevo per tutti i motivi per cui è giusto piangere.
E lì ho capito. Il tuo nome ce l'hanno già mille altre persone, ma quello che hai dentro non può avercelo uguale nessun altro.
"Ora è meglio che vada".
"Va pure".
"...ma dopo tutto questo tempo, non lo vuoi sapere almeno il mio nome?".
"Non mi serve".
"Perchè?"
"Ti riconoscerò sempre, ti ritroverò sempre".

La Jù.


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