BASTAVA

Ciao Benedetta.
Volevo solo dirti che ho sbagliato tutto e il treno era il tuo, non il mio. E' stata solo questione di un secondo, credo.
Resta il fatto, però, che sono salita io, non tu. Pure la gente nello scompartimento mi guardava storto, come si fosse accorta che non era mio quel posto.
Intendiamoci, il treno è una metafora. E' solo che dovevi esserci tu e invece ero io. E mi è toccato fare tutto da sola.
Avrei voluto chiederti più spesso come ti sentivi. Se volevi stare un pò in silenzio con me. Avrei voluto andare a lavare la macchina al fiume con te e ridere e lasciarla asciugare, come in quei film che mi piacciono tanto.
Se potevamo fare una mano a Uno vicino al vecchio stereo in cucina quando passava Marco Mengoni ( e dicevi che quella non era la sua voce, non poteva essere la sua, perchè secondo te, la sua voce era molto più figa). Avrei voluto sapere come ci si sente quando ti tagliano il disegno. O quello che hai pensato quando ti hanno licenziato. Scommetto "Che Stronzi!", ma scommetto anche che non gliel'hai detto e hai sorriso perchè in fondo io ti conosco. E sei una persona gentile, abbastanza buona e assolutamente razionale.
E mi auguro che se tu non sia già cambiata, almeno tu possa farlo in fretta.
Perchè in un film o in un libro saresti perfetta, ma già in una canzone rischi. E io non sono buona a scrivere e non sono nemmeno sicura che sia più questo il tuo indirizzo e magari sto scrivendo a una nuova inquilina di cent'anni di solitudine del cazzo, ma una cosa la so.
Si può sempre capire di aver torto.
E' una bella lezione da mandare a memoria. Sentirmi stronza non è una passeggiata, ma rendersene conto è il primo passo per restare a galla nella tazza del cesso, mentre tutti gli altri vengono risucchiati. E scusa la metafora, ma a me il treno è sempre piaciuto.
Tu vieni dai flipper che andavano in tilt con una botta, dalle macchinette che ti mangiavano le 500 lire e dei miti più grandi che arrivavano col sacchetto di monete e finivano il gioco in mezzo alla folla. Dalle mutande solo sognate di qualcuno alla vodka bevuta alla goccia di nascosto a quindici anni.
Io invece vengo dalle partite alla radio che mi lasciavano il tempo di immaginarmi il gol prima di vederlo a 90° minuto con mio padre.
Ma insieme veniamo da quel "qui dietro" che col passare degli anni è diventato "un pò più in là". Dalle balle di Wanna Marchi e dai viaggi che parliamo parliamo e non facciamo mai. E lo sai perchè?
Perchè abbiamo paura. Non paura del viaggio. Paura di partire. Odi il posto dove vivi, odi la gente che ci abita, odi pure il postino quando suona di sabato mattina, eppure non te ne andresti mai.
Quelli come me e te si lamentano di tutto, ma poi non fanno un cazzo per cambiare le cose, perchè è più facile restare ad aspettare che si presenti il prossimo a provarci per attaccarlo coi nostri "io avrei fatto meglio".
Solo che quando si è trattato di scegliere e andare avanti, tu eri indisposta, in mutua, al cesso, in coda, insomma altrove.
Come quelle mattine in cui esci di casa e non ti ricordi dove hai messo la macchina la sera prima. O al bancomat stai per prelevare con la tessera dei film.
A volte fa pure bene restarsene nell'ombra con le proprie cose tranquille per la testa e non sono nemmeno qui per dirti: segui i tuoi sogni che ti porteranno dove vuoi. No. Porta tu i tuoi sogni dove cazzo sei adesso. E vedrai se ci arrivano, se ti seguono, se ce la fanno, se riescono a starti dietro. Troppe volte siamo più veloci dei nostri desideri. Siamo noi a stancarci prima e li accompagniamo solo fino a metà strada; poi quando arrivi in fondo ti chiedi dov'è che li hai lasciati.
PERCIO', si può sempre capire di aver torto.
Io mi sono messa in discussione per arrivare a capire di averti salutato nel momento migliore. E che forse saresti dovuta andare via tu. Perchè nella mia vita sono iniziate a succedere cose che mi spingono a buttarmi il passato alle spalle e a pensare solo al nuovo, come se non avessi mai vissuto in vita mia.
Ma sono cose che capitano e non siamo sempre noi a decidere, altrimenti non sarei qui a scrivere una lettera e a dirti che non so e non mi interessa come vanno le cose ma spero che tu possa vedermi, che tu possa trovarmi e che tu possa sempre correre.
E non stancarti.
A ripensarci adesso, è stata una stronzata. Ma un mese fa fa avevo la tua voce in testa. La tua voce credibile, a dirmi di non fidarmi delle canzoni che non durano mai più di una stagione. Che ci sono canzoni che ti trattano come la loro migliore amica. Ti scrollano di dosso la polvere e aprono la finestra su un cielo sereno, quando fuori tira pure pioggia, pure vento.
Un mese fa non sapevo che per andare avanti qualcosa lo devi pur cambiare.
Che sia pizza, genere di film, posto dove andare in vacanza, posizione di dormire, magari fino a convinzione politiva, squadra del cuore o tipo di musica, appunto.
Magari se cambi non sei un ottusa. Magari.
O magari no e avevi ragione tu.
So solo che ho 24 anni e quando non hai mosso un dito per fermarmi mi sono sentita come quei vecchi che si lamentano non appena una delle loro amate tradizioni scompare, per lasciare il posto a qualcosa di nuovo, da maledire prima ancora di conoscere.

La Jù.

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