1009 GIORNI

Sono convinta che nel cuore della notte non ci siano solo le prostitute, a battere. Ci sono gli affanni degli amanti che appannano i finestrini della loro Punto e battono all'unisono una canzone mai sentita. Ci sono i tacchi degli stivali di chiunque entri nel locale e tenga testa al ritmo del batterista.
Ci sono bande di ragazzini che fingono di giocare a baseball, colpendo con un bastone pieno di resina un'appiccicosa lattina di Coca. Ci sono pensionati in cantina che battono tre volte sul tavolo per una buona da tre scope a cirulla.
Ci sono le porte della stazione che sembra un saloon di una città fantasma, da quanto forte sbattono per il vento implacabile.
Ci sono i battistrada di ogni benedetto pneumatico che urlano vendetta perchè adesso a loro gira la testa, ma è la ruota che comanda. Il battente della porta d'ingresso del bar che regge l'ubriaco di turno. Il trombettista jazz che sceglie bene le sue pause, saltellando tra battere e levare. E l'imberbe figlio di papà che consuma le sue 100 carte sul sedile della Volvo di famiglia, un altro sabato. Un altro sabato in cui prima di finire il suo battere, gli viene in mente che nemmeno sa come si chiama, lei.
Lei che adesso fissa il soffitto in tinta coi sedili, sperando che da li s'apra, da un momento all'altro, il suo immenso cielo sovietico.
Ma i suoi occhi blu sono l'unico celeste in quella macchina.
Lei che ha la pelle chiara, ma dentro è nera, bruciata e scura come una Guinness. Lei che potrebbe essere di qualsiasi stazione il treno dei disperati sia mai partito e nessun cliente oserebbe chiederglielo. Lui si ferma. Esce da lei, ma lei non si muove. Ecco il levare. Il levare il suo da lei e quello del sole dal nulla della notte.
Come gli sembra strano che entrambi, lui e il sole, siano usciti dalla stessa cosa. Lui si riabbottona, lei no.
Quando si volta di nuovo, la trova addormentata, lì al suo fianco, di un sonno stanco 10000 anni, 1000 sedili, 100 sigarette, 10 carte di mancia e 1 numero di telefono.
I capannoni dell'area industriale sembrano strani animali preistorici che si risvegliano, lenti come fantasmi. La macchina spenta giace zitta lontano dai motori sulla statale e un clacson d'autobus batte contro l'udito sepolto della donna. Perchè ancora ( e sempre ) di una donna si tratta.
I suoi occhi gonfi e goffi riprendono a navigare nel mare degli sguardi e la sua bocca si richiude un secondo e le sue labbra non sono più accattivanti e sembrano piuttosto quelle di una liceale dopo la prima notte in gita scolastica.
Adesso la luce filtra anche sui sedili anteriori e al volante lui somiglia ancora di più a un bambino. Chissà perchè lo fa. Ma lui si gira, lo fa e basta: "Scusa...".
Lei adesso sembra una mamma dopo il parto, si tira su, ancora mezza nuda e gli dà un bacio sulla fronte, sorridendo con una dolcezza che non te l'aspetteresti mai nella vita. Da restarci secchi, direbbe Holden.
Lui le offre una sigaretta che lei accetta e fuma appoggiando la testa sulla sua incerta spalla. L'alba si è levata alta nel cielo e ha battuto lo stupore, rivestendo d'oro la carrozzeria della macchina dove due sconosciuti si sono chiesti chi fossero mai.
Adesso riparte e se nessuno dei due dice niente, è probabile che quell'espressione sorridente sui loro volti significhi qualcosa.
Sollievo. O forse che tra un battere e un levare trovi il posto dove mettere le note, quando la canzone della tua vita arriverà al ritornello.
Comunque, anche se resterai una strofa, falla suonare. Che ti sentano. Nessuna canzone sta in piedi con un assolo.

La Jù.


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